Simone Pianetti ,spirito irrequieto e ribelle, nella sua prima gioventù le sue fortune di Don Giovanni montanaro erano famose tanto quanto i suoi colpi infallibili di cacciatore di camosci, che pare abbia mostrato anche in occasione di autorevoli battute di caccia reali.
Il seguito di disavventure che lo colpirono prima nel suo paese di origine, Camerata Cornello, e poi a San Giovanni Bianco, nonché le malignità e i soprusi perpetrati nei suoi confronti, ne inasprirono il carattere tanto da far maturare in lui il desiderio di farsi giustizia.
La mattina del 13 luglio, staccato dal muro il suo fucile da caccia grossa e rifornitosi di molte munizioni, dopo aver abbracciato e baciato affettuosamente la figlia più piccola, di passo fermo uscì di casa e diede inizio al suo cammino di vendetta.
Caddero sotto il piombo inesorabile il medico condotto, il segretario comunale, la figlia del segretario, il giudice conciliatore, il parroco, il messo comunale ed una contadina.
La sua rocambolesca fuga sulle impervie montagne dell’alta valle fu il principio di una epica caccia all’uomo, dai tratti romanzeschi, che coinvolse oltre trecento fra soldati e carabinieri. E mentre il latitante, sulla montagna, trovava l’appoggio di mandriani e carbonai, presso l’opinione pubblica si accese un ampio dibattito nel quale emersero contrasti e prese di posizione, e dove la storia di Pianetti si rivelò il pretesto per ben più complesse battaglie.
Nessuna “battuta” lo raggiunse più; solo il figlio maggiore lo rivide durante un commovente incontro sulla montagna e in quell’occasione egli assicuro che nessuno l’avrebbe mai preso vivo, né veduto morto. E così fu, nulla più si seppe della sua fine.
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