Claudio CalzanaRitorno in Irpinia 2022 – 1980
Claudio Calzana è stato volontario a Teora dopo il terremoto del 1980. Ci rimase oltre due mesi, aveva 22 anni. Oggi che di anni ne ha tre volte tanti, rievoca quei giorni a partire da un suo recente viaggio di ritorno in quella regione. E da quel che nel tempo gli hanno insegnato gli errori, le esperienze, la vita.
«Il viaggio verso Teora lo ricordo bene. Il cielo grigio, nemmeno l’ombra di un sole, strade ingombre di detriti, percorsi sterrati per aggirare voragini e frane, salite impervie con il motore in preda al tormento. Superata una curva, o sulla cresta di un monte, l’improvvisa visione di un paese perduto ti prendeva alla gola. Lo sguardo accoglieva il silenzio smarrito di quel paesaggio dolente, che implorava preghiera. Il cuore scontava una pena inaudita, un’angoscia maligna e fuori misura. Ovunque, il sollievo d’esser scampati all’ira della terra che trema e rovina».
Edizione in tiratura limita di 99 esemplari
€ 15,00
5 disponibili (ordinabile)
Roberta –
Il 23 novembre 1980 io avevo 14 anni e non ho un ricordo vivo del sisma che devastò Campania e Basilicata.
L’Irpinia è un nome strano, un luogo difficile da definire: zona, distretto, area. Ma se cerchi in Rete scopri che è un posto bello, ricco di storia, natura, tradizioni.
Quel 23 novembre, un terremoto di magnitudo 6.9 scatenò un’energia quattro volte superiore alla potenza delle bombe atomiche cadute nel 1945 su Hiroshima e Nagasaki, polverizzando in poco più di un minuto e mezzo una vasta area del’Irpinia e lasciando sotto le macerie più di 3.000 vittime.
Ma le tragedie, si sa, sono scomode e vanno dimenticate in fretta. Sopravvivono solo grazie ai ricordi di chi le ha vissute e soprattutto di chi ha ancora voglia di raccontarle.
claudio calzana è uno di questi. Scrittore e molto altro, in Irpinia e precisamente a Teora, ci andò come volontario all’età di vent’anni.
In quella terra violentata dal sisma Claudio è ritornato quarantadue anni dopo, nel 2022, richiamato dai ricordi che da tempo stava raccogliendo nel suo blog. Pensieri sparsi che ora hanno trovato finalmente pace in un bel libro.
Ritorno in Irpinia. 2022/1980 è scritto con lucidità, senza artefatti, patemi. Tra le righe si percepisce la voglia di condividere un’esperienza, di raccontare semplicemente i fatti e forse anche il desiderio di rendere omaggio a quella terra e soprattutto a quella gente che, come le tante colpite da tragedie simili, ha ferite ancora aperte e dolorose.
Luisa –
I ricordi di un giovane ventenne che, come volontario, quel lontano, ma per chi lo ha vissuto, ancora tanto presente, si recò nelle zone terremotate dell’Irpinia per offrire il suo aiuto, la sua disponibilità come tanti altri.
Era il 1980 del 23 Novembre di sera quando una forte scossa di terremoto distrusse interi paesi. Claudio Calzana porta in questo libro a distanza di anni il suo ricordo di quella grossa tragedia che ancora oggi scuote gli animi di colori che l’hanno vissuta.
Ricordi vivi, gli incontri, le macerie, i bisogni della popolazione, gli aiuti, le vittime ma anche la dignità di chi perse tutto.
Per chi ha voglia di sapere di piu. Un viaggio dentro la tragedia, lo stesso viaggio che anni dopo l’autore ha fatto nei territori che lo hanno visto giovane volontario.
Ida –
Impresa veramente ardua quella di commentare Ritorno in Irpinia. La copertina attira l’attenzione su una giovane figura femminile dagli occhi arrossati e persi nel nulla. Nei fogli che tiene in mano si cela la causa del dolore… La data dei fatti che verranno ricordati è posta a ritroso.
Apro il libro con una certa apprensione.
Le foto raccontano concretamente la violenza degli eventi e lasciano sgomenti con il loro tragico bianco e nero. Feriscono più queste immagini, scattate con i mezzi allora a disposizione, che tutti i reportages degli odierni inviati speciali. Anzi, mentre questi servizi sono normalmente accompagnati da un commento del giornalista, quelle sostituiscono ogni parola semplicemente con la loro severità e dicono le enormi difficoltà di comunicazione. I droni, i cani molecolari, le ruspe, le scavatrici, i tecnici addestrati a questo tipo di calamità, i soccorsi organizzati da squadre specializzate, erano di là da venire…
I tragici fatti d’Irpinia vengono raccontati con lo stile di sempre, diretto, semplice, talmente concreto e coinvolgente che, nel prosieguo della lettura, ho avuto la sensazione di camminare io stessa nella neve, di rabbrividire in indumenti inadatti, di accostarmi a quelle persone con la medesima fatica e sofferenza dell’autore. Sì, perché in questa cronaca c’è la straordinaria capacità di trascinare il lettore dentro l’avventura.
Naturalmente i personaggi che brulicano intorno alle rovine sono moltissimi e ovviamente tra loro diversi per età, provenienza ed esperienza, ma vengono presentati così bene che ciascuno mantiene la propria personalità inconfondibile, unica: volontari, soccorritori, vittime…
Nel dipanarsi degli avvenimenti vengono offerti agganci storici e letterari di grande livello, che arricchiscono la semplice narrazione, rendendo eterne e universali le emozioni suscitate.
È un libro che presenta un caleidoscopio di sentimenti e atteggiamenti. Ecco così la generosità di chi è arrivato in aiuto pur nella consapevolezza della propria incompetenza, la volontà di fare qualcosa di buono, lo sconforto per l’impossibilità di rimediare anche alle piccole difficoltà, la condivisione generosa, la dignità di chi ha perso ogni cosa, l’angoscia di chi spera in un miracolo, lo strazio lancinante dei familiari superstiti, la rassegnazione più cupa e il coraggio di chi vuole aggrapparsi alla speranza di una rinascita. E insieme l’infamia degli “sciacalli”, ladri di poveri ricordi, tanto preziosi per i sopravvissuti che hanno visto sgretolarsi tutto il loro mondo in novanta secondi!
Alla fine c’è lo sguardo impietoso sull’oggi, sull’avvilimento di una terra ricca, sfruttata e poi abbandonata, con un futuro in bilico – come commenta amaramente l’autore – tra l’urgenza di dimenticare e l’impossibilità di farlo.
Chiudo il libro e respiro profondamente. Un groviglio di emozioni mi turba davanti a queste pagine, che so essere nate dall’esperienza diretta, sulle barricate. Nel diario l’autore si era chiesto: “Che ci faccio qui?”, ed ecco la risposta: era lì per rendere una testimonianza inconfutabile, una memoria di cui dobbiamo essere grati.